Si tratta di un test eseguito a partire da un semplice prelievo di sangue della mamma in attesa, per valutare il rischio che il feto sia affetto da alcune malattie, in particolare anomalie cromosomiche come la sindrome di Down.
Può essere effettuato a partire dalle 10 settimane di gravidanza e il suo principale vantaggio è che si tratta di un esame non invasivo, che quindi non comporta pericoli per la mamma e il bambino. Rispetto alla stima del rischio di sindrome di Down, al momento il test del DNA fetale rappresenta l’esame di screening più accurato.
Non può considerarsi sostitutivo di indagini invasive come villocentesi e amniocentesi, perché questi esami danno risposte più esaustive su un numero maggiore di condizioni. In caso di esito positivo, inoltre, il risultato va confermato con un test invasivo.
Il test del DNA fetale da sangue materno può essere utilizzato dalle future mamme che desiderano sapere quanto è probabile che il loro feto sia affetto da una delle trisomie più diffuse, senza esporsi al rischio di aborto dato da villocentesi ed amniocentesi.
Se invece la futura mamma ha già fattori di rischio, come un precedente figlio affetto da una patologia cromosomica, o l’indicazione di un rischio aumentato di anomalie fetali da parte di un test di screening classico, la coppia dovrà valutare se è più opportuno rivolgersi direttamente a un esame invasivo oppure fare un passaggio intermedio con il DNA fetale.
Questo fa comprendere che, prima di decidere a quale esame di diagnosi prenatale sottoporsi, la coppia dovrebbe sempre poter effettuare una consulenza genetica, che la aiuti a compiere la scelta più adatta alla propria situazione.
Durante i nove mesi di gravidanza, oltre agli evidenti cambiamenti fisici, la donna, attraversa importanti cambiamenti psicologici.
La gravidanza non è, infatti, solo un percorso fisico, ma comporta, per la donna, la maturazione di una nuova identità: ESSERE MADRE.
Se i cambiamenti fisici sono visibili a tutti, meno evidenti sono le fasi psicologiche che la futura mamma attraversa per prepararsi all’arrivo del bambino.
La chiamiamo da sempre “dolce attesa” , MA dobbiamo ricordarci che non è per tutte le donne “SEMPRE” dolce, poiché è un percorso comunque impegnativo.
L’attesa di un figlio
è costellata da una serie di tappe
che impegnano mente e corpo
Come per il corpo, i trimestri scandiscono delle FASI PSICOLOGICHE di adattamento alla gravidanza e al proprio ruolo futuro.
I cambiamenti psicologici legati alla gravidanza sono una sfida importante e le emozioni suscitate da questo periodo non vanno mai tralasciate.
IL PRIMO TRIMESTRE
è il momento della «scoperta» e le paure per la salute del bambino spesso prendono il sopravvento. La gravidanza è infatti più a rischio in questo momento, MA all’esterno, la richiesta è quella di vedere una donna felice ed entusiasta, portando spesso la futura mamma a “chiudersi” alimentando così il suo stato d’ansia, mentre l’esigenza sarebbe quella di rassicurazioni e comprensione.
IL SECONDO TRIMESTRE
scaccia le paure e la donna comincia a maturare l’idea che sta per diventare mamma, grazie anche ai primi movimenti percepiti.
Finalmente la gioia prevale, anche se associata a un po’ d’ansia relativa ai movimenti stessi (si muove troppo, si muove poco, non l’ho sentito tutto il giorno!);
GLI ULTIMI MESI
sono caratterizzati dal desiderio di vedere il piccolo, ma anche dalla paura del parto.
Anche in questo caso, non è utile minimizzare queste paure: un corso pre-parto può essere d’aiuto favorendo la condivisione e il supporto degli esperti.
E’ importante comprendere le ragioni della paura tranquillizzando il più possibile la futura mamma sulle sue capacità!
DOTT. CARLO RICCI
PSICOLOGO E PSICOTERAPEUTA INDIVIDUALE, DI COPPIA E FAMILIARE
Si basa su un ecografia ed un prelievo di sangue finalizzati a calcolare il rischio di avere un feto con un anomalia cromosomica (Sindrome di Down o Trisomia 21 e altre anomalie cromosomiche)
Quando si esegue?
Dalla 11 settimana a 13 settimane e 6 giorni
A cosa serve?
– Calcolare il proprio rischio di avere un bambino con un’ anomalia cromosomica
– Evidenziare alcune anomalie maggiori del feto
– Vedere come funziona la placenta.
Infatti livelli alterati negli ormoni che si misurano con il prelevo di sangue aumentano il rischio di sviluppare un rialzo della pressione e/o un bambino di basso peso alla nascita
Come si calcola il rischio di avere un bambino con difetti cromosomi?
Al termine dell’ esame il rischio viene calcolato da un apposito software sulla base di:
• età materna
• misurazione della translucenza nucale
• presenza o assenza dell’osso nasale
• flusso sanguigno attraverso la valvola tricuspide
• flusso sanguigno attraverso il dotto venoso,
• presenza o assenza di anomalie strutturali del feto
• livelli di 2 ormoni (B-HCG e PAPP-A) nel sangue
In particolari modo Sirio ha l’obbiettivo di essere un luogo al servizio delle mamme e bambini.
Per questo motivo abbiamo dato molto importanza alla DONNA IN GRAVIDANZA, dedicando a lei tanti servizi e possibilità di vivere al meglio questo periodo di attesa…
Sirio è un luogo in cui la neo mamma potrà chiarire tutti i suoi dubbi grazie ai professionisti e alle tante attività pensate per lei.
SIRIO PROPONE:
visite specialistiche ginecologiche
ecografia translucenza nucale
ecografia morfologica
Bi test
Harmony test, diagnostica prenatale
assistenza allattamento individuale
assistenza allattamento di gruppo
assistenza allattamento domiciliare
corso pre parto
visita ostetrica post parto
ginnastica in gravidanza
ginnastica mamma- bimbo
ginnastica post parto
ginnastica pelvica
riabilitazione del pavimento post parto
preparazione del perineo al parto
riabilitazione in gravidanza (lombalgia, sciatalgia..)
La prevenzione del tumore del seno dovrebbe cominciare a partire dai 20 anni con l’autopalpazione eseguita con regolarità ogni mese, è indispensabile, poi, proseguire con controlli annuali del seno eseguiti dal medico senologo affiancati all’ecografia.
Visita senologica
Questo tipo di valutazione da sola in genere non è sufficiente a formulare una diagnosi precisa, ma può sicuramente essere utile per chiarire situazioni un po’ sospette.
Il senologo, prima di cominciare l’esame vero e proprio delle mammelle, si occupa dell’anamnesi, ovvero della raccolta di informazioni che potranno essere utili per formulare la diagnosi finale: eventuale presenza di casi di tumore del seno in famiglia, età di comparsa del primo ciclo mestruale e della menopausa, gravidanze, alimentazione, terapie ormonali.
Solo dopo aver terminato questa fase il senologo può procedere con l’esame clinico propriamente detto che parte con l’osservazione e termina con la palpazione: il medico compie tutti quei gesti che ogni donna dovrebbe compiere mensilmente nel corso dell’autopalpazione.
In caso di dubbio è proprio il medico generico o il ginecologo a consigliare una visita senologica specialistica durante la quale, grazie anche ad altri esami quali l’ecografia, è possibile distinguere tra patologie maligne e benigne del seno e se necessario, impostare la terapia più corretta.
Tra i 20 e i 40 anni generalmente non sono previsti esami particolari, se non una visita annuale del seno.
Solo in situazioni particolari, per esempio in caso di familiarità o di scoperta di noduli, è possibile approfondire l’analisi con una ecografia o una biopsia (agoaspirato) del nodulo sospetto.
Tra i 40 e i 50 anni le donne con presenza di casi di tumore del seno in famiglia dovrebbero cominciare a sottoporsi a mammografia, meglio se associata a ecografia vista la struttura ancora densa del seno.
Tra i 50 e i 70 anni il rischio di sviluppare un tumore del seno è piuttosto alto e di conseguenza le donne in questa fascia di età devono sottoporsi a controllo mammografico con cadenza biennale.
Nelle donne positive al test genetico per BRCA1 o 2 è indicata un’ecografia semestrale e una risonanza annuale, anche in giovane età.
Autopalpazione
L’autopalpazione è un esame che ogni donna può effettuare comodamente a casa propria: permette di conoscere profondamente l’aspetto e la struttura normale del seno e quindi di poter cogliere precocemente qualsiasi cambiamento.
L’esame si svolge in due fasi:
l’osservazione permette di individuare mutazioni nella forma del seno o del capezzolo,
la palpazione può far scoprire la presenza di piccoli noduli che prima non c’erano.
Quando si parla di autopalpazione si pensa solo a un esame per la ricerca di noduli nella ghiandola mammaria, ma in realtà grazie a questo esame possono emergere altri segnali che devono spingere a consultare un medico, come retrazioni o cambiamenti della pelle, perdite di liquido dai capezzoli e cambiamenti di forma della mammella.
A partire dai 20 anni l’esame può essere effettuato una volta al mese tra il settimo e il quattordicesimo giorno del ciclo.
Rispettare questi tempi è importante perché la struttura del seno si modifica in base ai cambiamenti ormonali mensili, e si potrebbero di conseguenza creare, in alcuni casi, confusioni o falsi allarmi.
È bene ricordare che, oltre agli ormoni, anche l’età, il peso corporeo, la familiarità e l’uso di contraccettivi orali influenzano la struttura del seno che, a volte, specialmente nelle donne giovani, si presenta particolarmente densa e difficile da valutare correttamente con l’autoesame.
Tra i 40 e i 50 anni l’incidenza (cioè i numero di nuovi casi) del tumore del seno aumenta in modo rapido e costante e quindi le donne in questa fascia di età non possono rinunciare all’autopalpazione come strumento di prevenzione.
Con il sopraggiungere della menopausa, l’esame può essere eseguito indifferentemente in qualunque periodo del mese e deve essere effettuato con regolarità anche e soprattutto dalle over 60 poiché il picco di incidenza del tumore del seno si colloca proprio tra i 65 e i 70 anni.
L’autopalpazione rappresenta un primo strumento di prevenzione del tumore del seno, ma da sola non può bastare e deve essere abbinata a visite senologiche ed esami strumentali più precisi come ecografia o mammografia.
Ecografia al seno
L’ecografia mammaria è un esame diagnostico per immagini, che consente lo studio anatomico e strutturale del seno.
ecografia al senoQuest’indagine non invasiva si basa sull’emissione e sulla ricezione di ultrasuoni, i quali vengono riflessi in modo differente dai vari tessuti della mammella che attraversano.
Con l’ecografia mammaria è possibile individuare cisti al seno, cioè formazioni di natura benigna, spesso a contenuto liquido o misto, e fibroadenomi. Quest’indagine consente, inoltre, di diagnosticare la presenza di tessuti infiammati (come nel caso di mastite o ascessi) ed è importante nella diagnosi precoce di lesioni più serie, come i tumori maligni. L’ecografia mammaria permette di visualizzare anche le eventuali alterazioni a carico dei linfonodi dei cavi ascellari.
eco al seno
E’ un esame indicato nei casi in cui si debba:
– Studiare una mammella nelle donne giovani (prima dei 35 anni di età), qualora la visita senologica lo richieda;
– Stabilire la natura solida o liquida di un nodulo;
– Valutare un addensamento asimmetrico rilevato dalla mammografia;
– Esaminare il seno di una donna durante la gravidanza, in presenza di particolari noduli palpabili o patologie infiammatorie (mastite, ascesso e trauma);
– Controllare nel tempo il decorso della patologia benigna della mammella (fibroadenoma, lipoma o cisti);
– Monitorare una paziente operata di tumore, per valutare un’eventuale recidiva;
– Effettuare un prelievo con ago su nodulo sospetto o la biopsia di lesioni non palpabili, evidenziabili medicante ecografia.
L’ecografia mammaria rientra tra gli esami ai quali sottoporsi per diagnosticare la presenza di masse tumorali localizzate nell’area toracica anche per l’uomo.
Domande frequenti…. Cos’è la proctalgia fugax?
La proctalgia fugax è una patologia benigna caratterizzata dalla comparsa improvvisa e ad intervalli irregolari, di un dolore ano-rettale violento, lancinante che dura solitamente pochi minuti e che svanisce all’improvviso senza lasciare sequele.
Cosa scatena la proctalgia fugax?
Il dolore può essere scatenato da rapporti sessuali, masturbazione, eventi psico-fisici stressanti, evacuazioni, assunzione di alcolici ma spesso non è individuabile un fattore trigger. Il dolore si instaura tipicamente di notte, ma può comparire in un qualunque momento della giornata.
E’ una patologia frequente?
La prevalenza nella popolazione generale oscilla tra il 4 e il 18% e riguarda sia uomini che donne.
Da cosa è causata?
E’ causata da uno spasmo della muscolatura sfinterica, come un “crampo”; influenzata dagli stress psico-fisici. E’ più spesso presente in soggetti affetti da colon irritabile, in pazienti sottoposti a scleroterapia per la cura dell’emorroidi, ed è spesso associato a pazienti che soffrono di stitichezza .
Come si diagnostica?
La storia anamnestica unitamente alla visita clinica per escludere l’assenza di altre patologie pelviche dolorose, possono essere sufficienti a fare diagnosi di proctalgia fugax. Tuttavia, la rettoscopia e la risonanza magnetica nucleare (RMN) pelvica possono essere necessarie per la diagnosi differenziale. L’ecografia ano-rettale è di ausilio nel fornire informazioni sullo spessore della muscolatura dello sfintere anale. Inoltre, la manometria ano-rettale può evidenziare anomalie del tono sfinterico a riposo rilevando caratteristiche “onde lente di ampiezza aumentata”.
Trattamento…
Avendo quindi ben chiaro che la Proctalgia è una patologia prettamente muscolare, causata da stress psico- fisico, se ne evince che l’utilizzo di farmaci non è la cura giusta; o comunque non può essere l’unica soluzione.
Guardando gli ultimi studi effettuati sul trattamento di questa patologia, si è visto che la riabilitazione è la terapia che da maggiori benefici.
Con la Riabilitazione si vuole andare a ripristinare la corretta funzionalità della muscolatura pelvica, che si trova in una condizione di ipertono e quindi con difficoltà di rilassamento volontario.
Il passaggio principale è la presa di coscienza tramite esercizi di contrazione e rilassamento assistiti dal biofeedback, una strumentazione che aiuta il paziente a rendersi conto dell’attività muscolare volontaria e involontaria dello sfintere.
Viene utilizzata anche l’elettrostimolazione intra-anale, tramite l’erogazione di corrente decontratturante e antidolorifica, si induce il muscolo a un rilassamento passivo.
Molto importante è anche la Kinesiterapia, sempre parte attiva della riabilitazione che è costituita da controllo e modificazioni posturali; e importanti consigli e strategie da mettere in atto nella vita quotidiana per prevenire l’insorgenza del dolore acuto.
Abbiamo anche detto che la Proctalgia è spesso causata da stati di stress e ansia, quindi il controllo e la gestione di queste situazioni dovrebbero far parte della terapia di riabilitazione con sedute di psicoterapia.
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Il termine “Atrofia vaginale” sta ad indicare quella che tutte le donne chiamano semplicemente “secchezza vaginale”.
E perché questa condizione si instaura con la menopausa?
Il responsabile di questa sgradevole situazione è l’estrogeno che con la menopausa viene a mancare; ed è grazie a questo ormone che le pareti della vagina erano ben lubrificate e distensibili.
Durante la menopausa la quantità di estrogeni nel corpo diminuisce.
Questo porta ad un assottigliamento della parete vaginale, che diventa più fragile e meno lubrificata, causando sintomi come secchezza intima, dolore durante il rapporto, prurito e irritazione.
Tali sintomi sono comuni nelle donne in menopausa e se si manifestano contemporaneamente possono indicare la presenza di Atrofia Vulvo-Vaginale, una condizione che può essere diagnosticata dal ginecologo.
Ne soffre 1 donna su 2. Per alcune donne, i disturbi posso essere severi, rendendo faticose anche attività quotidiane come restare sedute, camminare o fare sport. Per altre, può avere effetti sulla vita di coppia, sulle relazioni e l’autostima.
Soluzioni…. Cure ormonali:
estrogeni locali (estriolo, che può essere usato per anni)
pomata di testosterone locale (galenica)
La terapia ormonale locale può risolvere i problemi di secchezza e atrofia genitale dell’85 per cento delle donne dopo la menopausa (meglio ancora se la cura inizia subito dopo la scomparsa del ciclo) e migliorare nettamente anche i sintomi urinari.
Cure non ormonali: (per tutte le donne che non vogliono ormoni, nemmeno vaginali, e per il 10-12 per cento di donne che non possono usare gli estrogeni, nemmeno locali, perché operate di tumore al seno o di adenocarcinoma dell’ovaio o dell’utero)
acido ialutronico
gel al colostro
laser vaginale
creme fitoterapiche a base di D-manonnoro e n-acetilcisteina
Riabilitazione pelvica:
massaggio vaginale
streatching dei tessuti vaginali
esercizi di Kegel
Biofeedback ed elettrostimolazione
La riabilitazione è un ottimo modo per lavorare sul tessuto vaginale dall’interno, senza quindi utilizzare farmaci. Con l’esercizio si può ottenere una maggiore elasticità dei tessuti, maggiore sensibilità sessuale e maggiore autonomia e controllo urinario.